Spiegare cosa sta dietro al concetto di Bonsai è cercare di rendere comprensibile una realtà che perfino autorevoli studiosi orientali presentano in maniera contrastante o hanno difficoltà ad esprimere. Forse è addirittura ingiusto far rientrare in schemi occidentali un concetto filosofico - religioso così complesso come quello del Bonsai. Farlo sarebbe come cercare d misurare l’Universo con un metro.
Se vogliamo comprendere fino in fondo il Bonsai dobbiamo cercare di comprendere realtà che vanno ben oltre l’oggetto. Anzitutto il Bonsai poteva svilupparsi solo in un Paese, il Giappone, dove esistevano già da secoli le premesse estetico – filosofico – religiose adatte: il gusto della raffinatezza nella semplicità. Lo Shinto, religione, filosofia, credenza nazionale la cui essenza più profonda rimane legata alla comunione con la natura; l’intimismo Zen (meditazione), che ha introdotto i concetti di Kami, Wabi e Sabi, che formano la triade cui si ispira l’arte Bonsai.
Kami - traducibile anche con “divinità”, può essere definito, per quanto riguarda il Bonsai, allo spirito, alla forza interiore delle cose, dei manufatti dell’uomo e degli eventi naturali.
Wabi - riconducibile per noi occidentali alla concezione francescana della vita, al senso di interiore appagamento e benessere che possiamo provare meditando accanto alla grandezza delle manifestazioni naturali; ma anche il concetto di accettazione degli eventi naturali in cui l’uomo è al centro e parte del disegno universale.
Sabi - è il piacere di possedere, curare, amare cose che gli anni e gli uomini hanno trasformato, in cui è rimasta taccia del trascorrere del tempo, degli elementi naturali che le hanno modellate e del lavoro e del pensiero degli uomini che le hanno precedentemente possedute.
Il curatore della collezione bonsai dell’Imperatore del Giappone, Kyuzo Murata, ebbe a scrivere a proposito del concetto di Wabi e Sabi che Wabi è uno stato della mente o un luogo o un’atmosfera mentre Sabi è un sentimento di pace interiore, di semplicità, che proviene da qualcosa di antico usato e riusato in cui è visibile, assieme al trascorrere del tempo, il tocco degli uomini che l’hanno creato e posseduto. Ma per lui questi concetti potevano essere comprensibili solo a un Giapponese. Non sono d’accordo con questa affermazione perché penso che questi sentimenti, come ogni sentimento dell’animo umano, appartiene all’uomo in quanto tale e per tanto può essere compreso, condiviso da ogni essere umano, specie se sentimenti universalmente validi.
Noi occidentali, ovviamente, abbiamo poi, travalicato il concetto di Bonsai, facendo anche di questo una fonte di lavoro il che non sarebbe un male, ma spesso di guadagni oltre misura. La differenza tra occidente ed oriente nella concezione estetica-filosofica del bonsai sta nel tipo di cultura: totemista per gli occidentali, naturalista per gli orientali. Noi abbiamo bisogno di vedere la statua della divinità, la foto ricordo del defunto, ecc., gli orientali vedono tutto nella natura. Coltivando qualche minuto al giorno quel Bonsai che si tramandano di padre in figlio, di generazione in generazione, non fanno altro che tramandare il ricordo dei loro avi.
Curare un albero, capire i suoi meccanismi e le sue esigenze significa anche capire che la nostra stessa sopravvivenza è legata alle piante. Fare bonsai è rendersi conto, spesso con meraviglia, che la Natura non è al servizio dell’uomo.